Trasformazione di rapporto di lavoro a tempo parziale

Data:

12 giugno 2006

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QUESITO

 

Visto l'accordo 09.11.2006, a fronte di domanda presentata da un dipendente, inquadrato in categoria D senza incarico di responsabilità di servizio, tendente ad ottenere la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale (50%) per la durata di un anno a decorrere dal 1° gennaio 2007 (domanda presentata in data 27.10.2006), con contestuale richiesta di autorizzazione allo svolgimento di prestazioni di lavoro autonomo, considerando l'impossibilità materiale di attuare il comma 5 art. 3 dell'accordo in questione, si chiede quanto segue:
1 - L'attuazione del comma 6 art. 3 dell'accordo deve ritenersi avente carattere di obbligatorietà, o viene mantenuto all'Ente un certo qual margine di discrezionalità decisionale? Nei primo caso, detta obbligatorietà è chiaramente desumibile da una precisa norma contenuta nell'accordo o, come viceversa si ritiene, è frutto di interpretazione applicativa dell'accordo medesimo, e come tale perlomeno opinabile?
2 - Può l'Ente, in applicazione estensiva del comma 7 del predetto art. 3, differire ogni decisione per quattro mesi, in attesa di concretizzare l'incontro di informazione di cui al comma 5, o viceversa il differimento connesso alle mansioni e posizione organizzativa del dipendente comporta di per sé già la trasformazione del rapporto di lavoro in accoglimento della domanda presentata?
3 - Quale deve essere il livello di specificazione da parte dell'interessato delle tipologie di prestazioni di lavoro autonomo che il dipendente andrà a svolgere, di modo che l'Ente possa verificare se sussistano o meno condizioni di incompatibilità?

 
 

PARERE

 

Relativamente al quesito contrassegnato con il n. 1, non vi sono dubbi circa il carattere vincolante della disposizione contenuta nel sesto comma dell'articolo 3 in quanto essa si connota quale norma prevista per surrogare eventuali ritardi o decisioni difformi degli enti del comparto nell'applicazione di quanto stabilito al comma 5 dello stesso articolo.
Per quanto concerne, invece, il secondo quesito riguardante l'applicazione del settimo comma dell'articolo 3 non pare che il dettato della norma possa in qualche modo autorizzare un differimento, per così dire, complessivo di qualsiasi decisione ad un momento successivo (e comunque non oltre i quattro mesi) poichè, sulla base di quanto indicato in chiusura di comma, il differimento sembra senza dubbio legato alla singola domanda (o alle singole domande) in sé considerata; non si spiegherebbe, infatti, in modo diverso il disposto che sancisce la possibilità di differimento nel caso in cui la trasformazione del rapporto comporti, in relazione alle mansioni e alla posizione organizzativa del dipendente, grave pregiudizio alla funzionalità del servizio. Il dettato pattizio è, pertanto, estremamente perspicuo in quanto ricollega la possibilità di differimento alle singole istanze di trasformazione del rapporto di lavoro e il differimento deve essere sorretto da specifiche ed esplicite motivazioni che dimostrino il pregiudizio che all'Ente deriverebbe dall'accoglimento di ogni singola istanza. Da ultimo si deve rilevare che differimento della trasformazione del rapporto di lavoro significa semplicemente rinviare la decorrenza del nuovo rapporto senza possibilità di rifiutare l'applicazione dell'istituto semprechè, ovviamente, vi siano posti ancora da coprire ovvero che vi siano domande sufficienti al raggiungimento della percentuale indicata all'articolo 3, comma 1. Anzi il comma 6 dell'articolo 3 inserisce, in certa misura, un incentivo alla trasformazione anche attraverso momenti di automaticità. Si rammenti, inoltre, che il comma 16 dell'articolo 3 stabilisce espressamente che il contingente del 25% è utilizzato sino alla sua capienza e che il rifiuto della trasformazione del rapporto da tempo pieno a parziale è contemplato espressamente in caso di conflitto di interessi tra l'attività esterna con quella svolta all'interno dell'Ente secondo quanto previsto dal comma 12 dell'articolo 3.
Con riferimento, infine, al quesito contrassegnato dal numero 3, si rileva che individuare un livello "standard" di specificazione delle tipologie di prestazioni di lavoro autonomo extraufficio al fine di verificarne la compatibilità con il lavoro presso l'Ente pubblico risulta oltremodo difficoltoso ed anche controproducente in quanto ogni domanda dovrà essere valutata tramite l'acquisizione di tutte le informazioni che consentano il rilascio della relativa autorizzazione (o il diniego della stessa) sulla base di elementi chiari ed oggettivi e che, comunque, i criteri guida nell'esame delle singole istanze per Io svolgimento di attività extra-ufficio sono contenute nell'articolo 51 della legge regionale n. 45/1995 e successive modificazioni.

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